Scritto da Ilaria di Mambro il 20/03/2017 alle ore 13:50:44

Libri Come 2017. La testimonianza di Zeugma

Si è conclusa ieri la breve e intensa avventura social di Zeugma a Libri Come, la festa del libro e della lettura che si è tenuta dal 16 al 19 marzo negli spazi dell’Auditorium Parco della Musica di Roma.

 

Quest’anno i libri erano come CONFINI, confini identificativi, identitari, sociali, culturali, politici, geografici e letterari. Il superamento dei confini è iniziato giovedì pomeriggio, con quattordici presentazioni tenutesi in contemporanea in quattordici biblioteche di Roma.

 

Nelle mattinate di giovedì e venerdì ci sono stati incontri di stampo più didattico, per gli studenti, con Mario Calabresi, Andrea Marcolongo e Licia Troisi. Poi un turbinio di presentazioni, dirette radiofoniche, reading, musiche, show, dibattiti e dialoghi, ma anche dialogi, come li avrebbe definiti Seneca, e vere e proprie tribune politiche (una, per la verità); autori e ospiti da tutto il mondo, stimati e discussi, alcuni attesi come catalizzatori dell’attenzione sin dai giorni precedenti.

Emmanuel Carrère ha risposto alle domande di un loquace Sandro Veronesi su radical chic, metaletteratura, ritratti e reportage e supremazia della scrittura sulla verità. Juan Pablo Escobar, incalzato da Giancarlo De Cataldo ha preso le distanze dalla serie tv sulla vita del padre, ribadito il suo netto NO a quel tipo di vita, denunciato la politica, soprattutto americana, e il proibizionismo. Carlos Ruiz Zafón ha raccontato la sua tetralogia sul libro e sulla letteratura, costruzione faticosa ma eterna, i suoi personaggi, le sue letture, tra cui Stephen King, e la sua Barcellona reale, tetra e gotica.

Tuttavia, pur con l’imbarazzo della scelta, due eventi in particolare hanno colpito l’“ambasciatore” di Zeugma a LibriCome, anche se probabilmente non sono scelte “bo-bo”, per dirla con Emmanuel Carrère, o sconvolgenti e avanguardistiche.

 

Sabato sera un brillante Marino Simbaldi, curatore della manifestazione insieme a Michele De Mieri e Rosa Polacco, ha intervistato Ian McEwan. Aperto, instancabile e ironico, era tra gli ospiti più annunciati e non ha deluso le aspettative. Fabrizio Gifuni ha magistralmente letto, anzi interpretato, le prime pagine del suo ultimo romanzo, Nel guscio (edito da Einaudi e tradotto da Susanna Basso). Il saggio protagonista, un feto che, in quanto tale, non può che dire la verità, è stato il punto di partenza di una conversazione su società, famiglia, tabù, passioni e scrittura.

McEwan ha giustificato il suo “politeismo” letterario, la sua tendenza a spaziare tra i generi fin quasi a farne parodia, confessando di non saper scrivere, cioè di saper scrivere un solo romanzo per volta. Ha ammesso di sentirsi, rispetto alla scrittura, un impiegato felice e che, dopo averlo pubblicato, lascia morire ogni suo libro. Si prende un anno per girare tra i festival letterari che “affollano ogni angolo del pianeta” e poi trova nuove letture, nuove ispirazioni, nuovi generi e impara a scrivere un nuovo romanzo. Ha amato, studiato e saccheggiato Shakespeare, Proust, Joyce etc. e inoltre Calvino “per la sua follia”. Ogni volta si lascia sorprendere e senza questa sorpresa non potrebbe vivere, anzi, non si spiega come si possa vivere senza scrivere. Ha riconosciuto, tra i suoi temi ricorrenti, l’infanzia e i protagonisti bambini, onesti per definizione, ma si è anche professato un padre innamorato e nostalgico del tempo in cui era il solo Dio dei suoi figli. E, insieme a mille altri spunti, si è dichiarato un empirista, un democratico ma soprattutto un ottimista.

 

Domenica pomeriggio la sempre bravissima Loredana Lipperini ha chiacchierato di “come una generazione”, quella dei nati negli anni ’80, con il fumettista Zerocalcare, e gli scrittori Tommaso Giangni ed Eleonora Caruso. Sono uscite fuori una serie di grandi verità, anche amare, con lucidità e ironia, la cifra che più contraddistingue i trentenni di oggi. Presenze incombenti per tutta l’ora, i cavalieri dello zodiaco, motivo di aggregazione più volte evocato per giovani in cerca, non tanto di una identità, quanto di fratellanza, appartenenza. È emerso il ritratto di una generazione che evita lo scontro, soprattutto quello sociale, frammentato tra le tante singolar tenzoni veicolate dai social e dai media che le riportano; una generazione ancora segnata dall’ultima tragica battaglia socio-politica, quella legata al G8 di Genova, e figlia di genitori che, a loro volta, non hanno mai superato gli anni di piombo; una generazione che è priva, anzi privata della stabilità economica, necessaria per darsi dei confini; una generazione che parla di società, di aggregazione, ma non di politica, anche quando guarda lontano.

 

Menzione a parte, personalissima, merita la presentazione del libro di Carmen Pellegrino, edito da Giunti, Se mi tornassi questa sera accanto. Il titolo è il primo verso della poesia al padre di Alfonso Gatto, IL poeta degli anni ’70, come ha ricordato l’editor Antonio Franchini. Si è parlato di genitori, di figli e di malattia, di fiumi e di terre aride, di sud e di utopie, di socialismi e di passi, fino alla lettura dell’incipit del romanzo, di parole fortemente sentite e intrise di lirismo che, con l’autrice, hanno commosso l’intero uditorio.

 

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