Michele Napolitano è un professore di greco presso l’Università di Cassino, un filologo che all’attività accademica affianca ricerche e divulgazioni culturali e in particolar modo storico-musicali. La vastità dei suoi interessi emerge chiaramente nel saggio Il liceo classico: qualche idea per il futuro (104 pagine pubblicate da Salerno editrice nella collana “Astrolabio”), “un atto d’amore per il classico e, più in generale, per il mondo della scuola nel suo complesso” nato da un dibattito antico ma più che mai attuale e vivace.
“Il fatto che nel nostro Paese […] il liceo classico sopravviva ancora, è da ritenere né più né meno che un miracolo, considerata la forza sempre più irresistibile delle sollecitazioni in direzione della riduzione ogni giorno più violenta e feroce dello spazio riservato allo studio libero, gratuito, disinteressato, ovvero non direttamente funzionale a fini concreti e predeterminati”.
Pagina dopo pagina, Napolitano ha riordinato e messo in discussione ogni idea, ogni dogma sul liceo e sugli studi classici in generale. Con onestà intellettuale e sincera partecipazione ha esposto le sue proposte, ma soprattutto i ragionamenti e le intuizioni che vi sono dietro, assumendosi, per di più, le responsabilità, sociali e accademiche, della propria generazione.
“Non sono i giovani, il problema. Siamo noi. E noi dovremmo cercare di recuperare a ogni costo la credibilità che abbiamo perduto svendendo in saldo le ragioni del futuro”.
La riflessione, divisibile in tre macro-sezioni, si snoda attraverso quattordici capitoletti ricchissimi di citazioni e riferimenti letterari, accademici, musicali, puntualmente sviscerati nella minuziosa nota bibliografica ragionata. Uno degli obiettivi meglio centrati dell’opera è infatti la sistematizzazione del dibattito sugli studi classici attraverso le fonti e le opinioni più interessanti, originali e autorevoli. Interviste e dossier sui quotidiani, saggi accademici, atti di convegni e opere di narrativa incentrate sul mondo antico e non solo; eventi, prove d’esame, pagine informatiche; musica, cinema e letteratura contemporanei: Michele Napolitano ha inserito ogni possibile spunto nella sua analisi, dando ampio risalto a quella “paideia” umanistica intesa in senso generale a cui fa spesso riferimento nella prima parte del suo libricino.
La terza sezione è sicuramente la più originale e interessante. Il liceo classico che il professore ha in mente, benché nella premessa sostenga che “non può e non deve essere l’anticamera dell’università”, di fatto si avvicina a un approccio di tipo accademico. Pur consapevole delle difficoltà e dei limiti, politici ma soprattutto economici, sogna un liceo che appassioni e sia “capace di far ragionare gli studenti”, un liceo in cui la grammatica sia ancora la base indispensabile (possibilmente servendosi di nuovi metodi) finalizzata alla traduzione, ma di testi contestualizzati dal punto di vista storico, letterario e anche materiale, senza sconti o indulgenze offensive per la curiosità e l’intelligenza degli studenti “perché solo una scuola che sappia continuare a essere difficile potrà essere in grado di garantire adeguata remunerazione ai meriti individuali in una prospettiva davvero egualitaria”.
Il cuore pulsante del pamphlet resta, tuttavia, la sezione centrale (i capitoli da 6 a 9). Dopo aver fatto il punto della situazione sulle condizioni di salute dei licei, della cultura, delle aspirazioni giovanili e della didattica in Italia, nell’interrogarsi sulle motivazioni più o meno note e plausibili per cui il liceo classico debba avere un futuro, l’autore non sembra rivolgersi ai suoi colleghi, a grecisti e professori, ma a noi, agli italiani mediamente colti che per il mondo antico hanno un’“ossessione identitaria”, retorica e anche un po’ classista. Con ragionamenti serrati e quasi paternalistici ma sempre garbati ci invita a uscire dalla logica dell’utilità e della spendibilità immediata e insieme a smettere di ricorrere ad argomentazioni figlie di pregiudizi umanistici come “il latino prepara al ragionamento scientifico… il latino forma l’uomo”.
Il professore colpisce nel segno quando ci ricorda che “bisognerebbe cercare di non dimenticare mai una cosa che appare ovvia […] e che però tende a essere persa di vista troppo spesso, ovvero che il senso sempre vivo dello studio delle lingue e delle culture classiche risiede intanto nel fatto che, senza quelle lingue, senza quelle culture, ci si condanna a non capire il grosso di quanto la cultura occidentale ha prodotto nel corso dei suoi due millenni di storia ulteriore”.
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